No, quella nella foto non è l'Albania, ma il Mugello :)
Quest’anno è l’estate dell’Albania. Delle polemiche. Della macchina del turismo che all’improvviso — in Italia — si è inceppata.
Facciamo due passi indietro, una decina di anni, forse quindici sono sufficienti. Intanto il dubbio che l’industria turistica italiana, come altre tipologie di industrie italiane sconti una cultura imprenditoriale familiare è lecito: questo significa vantaggi ma anche svantaggi.
Premesso che i miei genitori per 20 anni hanno avuto una PMI, un’impresa di famiglia nel settore calzaturiero.
La forza dell’impresa di famiglia è la famiglia, appunto: l’impresa familiare fonda la propria crescita proprio su un’organizzazione di tipo familiare, nel senso più arcaico del termine. Questo significa che la mamma gestirà la contabilità, il figlio il commerciale, la figlia il marketing e così via.
Il clima all’interno di questo tipo di aziende — che rappresentano il 70% del tessuto imprenditoriale italiano — è un clima familiare, le relazioni sono dirette e spesso informali.
Il “contro” (lo scrivo tra virgolette per non essere frainteso dai leoni da tastiera) è la moderata propensione al cambiamento, o meglio si cambia per decisione dei proprietari che spesso però non hanno il tempo, le capacità e l’apertura mentale per traghettare la propria azienda al punto B.
Il punto B rappresenta esattamente lo stadio evolutivo della propria attività —che deve essere in costante, pop ed un po’ agile — nel presente. Il presente non è il futuro, è proprio il presente.
E quando parliamo di presente (lo facciamo qui) parliamo non solo di lungimiranza di un imprenditore/trice familiare, ma di immaginazione, capacità di trovare, leggere, decodificare dati, circostante, scenari.
E non solo del proprio settore, ma del contesto economico, sociale, culturale. Cambiamenti climatici, guerre, viaggi spaziali compresi.
Io credo nell’impresa familiare. Credo nell’impresa familiare turistica, credo a questo modello come modalità di sviluppo. Però credo anche che non basti mettere un grande schermo nella sala riunioni per le video chiamate per traghettare la propria azienda — familiare — nel presente.
Il presente è complicato. L’ingordigia di soldi ancora di più. Il controllo di gestione ancora di più dell’ingordigia di soldi. Il marketing, la strategia e la comunicazione ancor più del controllo di gestione.
Non basta la mamma alla contabilità (mia mamma era alla contabilità). Neanche la figlia al marketing. Non basta aver fatto Economia e Commercio, un Master in Marketing e un anno all’estero per poi rientrare nell’azienda di famiglia e cambiare le cose.
Io credo che l’industria del turismo intanto debba essere considerata un’industria, appunto. Un asset strategico per il paese Italia.
Questo significa non solo avere strategie chiare ed un posizionamento della destinazione Italia, ma anche linee guida e protocolli a sostegno delle singole Regioni. Serve una regia. Servono tanti registi coordinati e consapevoli del presente che inseguano la stessa stella cometa.
Si sta parlando tanto in queste settimane del problema dei prezzi in certe Regioni d’Italia: beh, il pricing è una cosa seria, non è qualcosa che si stabilisce a sentimento, ed il libero mercato si chiama libero perché i consumatori — liberamente e velocemente — possono spostare i propri consumi/acquisti/spostamenti da una località ad un’altra. Da un operatore ad un altro. Albania compresa.
E più c’è libertà di spostamento fisico — parlando di turismo — più velocemente questo processo avviene ed assorbe modifiche di pricing più o meno selvagge/ragionate.
Tornando all’imprese familiari, credo che scontiamo la mancanza di una vera e propria cultura imprenditoriale contemporanea che consenta di far crescere la propria imprese turistica ma anche di leggere, comprendere, analizzare i propri consumatori.
Perché quello che è successo in questi 10 anni — e che succederà nei prossimi 10, 20 e 30 — è che il turista del 2013 che aveva 40 anni, ed aveva iniziato ad usare Facebook, che stava pagando a rate la casa e l’auto, oggi ne ha 50, ha un figlio, si è nuovamente indebitato per un auto elettrica anche se non ne comprende pienamente il motivo ma questo lo fa sentire bene col pianeta. Cerca poi mete sostenibili anche se grand parte dei propri indumenti sono fatti da materiali derivati dal petrolio. Sceglie le mete più instagrammate, sta pagando le rate di un iPhone che adesso costa 1.500 euro (una mensilità e mezzo), ha l’abbonamento a Netflix, Amazon Prime, Paramount, Spotify. Spende i soldi diversamente da 10 anni fa.
Nel frattempo c’è un conflitto in Ucraina che dura da anni, un’instabilità politica che governa il nostro paese, un’industria automobilistica in conversione all’elettrico e infrastrutture impossibilitate nel garantire in modo pulito e sostenibile quell’energia. Il mondo sta costantemente cambiando. È nella sua natura cambiare, ogni sistema cambia costantemente.
I giovani sembrano svogliati ma in realtà — ed il quiet quitting ne è una dimostrazione — danno un valore al tempo, alla vita e al lavoro diverso da quello che diamo noi o davano i nostri genitori.
Tutto ciò — e molto altro — porta delle conseguenze sul presente che stiamo vivendo, non solo nel settore turistico ma in qualsiasi altro settore, compreso quello pensionistico ed assistenziale.
Oggi non basta più fare impresa. Oggi l’impresa naviga costantemente in mari in tempesta e non c’è spazio per il mal di mare.
Oggi l’impresa è chiamata a confrontarsi su temi della responsabilità sociale, ambientale, culturale.
Oggi l’impresa deve accettare (e comprendere) le contraddizioni di questo tempo, condizione necessaria per comprendere la verità (semi-citando Roland Barthes).
Recentemente sul blog di Marketing Toys abbiamo scritto un articolo (link) che parlava della Nuova Zelanda, dove la “questione” turistica non solo è vista come industria prioritaria e trainante dell’identità del paese ma viene affrontata e contestualizzata rispetto ad altri asset strategici:
Ecoturismo: fornire turismo attraverso viaggi, pratiche commerciali ed esperienze turistiche più sostenibili dal punto di vista ambientale;
Edilizia sostenibile: sviluppo di case, edifici e infrastrutture più sostenibili, anche sfruttando la forte posizione del paese nei materiali da costruzione biogenici;
Sistema energetico a basse emissioni di carbonio: sfruttare il sistema elettrico altamente rinnovabile della Nuova Zelanda per attrarre l’industria a basse emissioni di carbonio e consentire la transizione zero netto attraverso l’elettrificazione dei trasporti, del calore e dei processi industriali;
Produzione alimentare sostenibile: produzione di alimenti naturali e sostenibili leader a livello mondiale attraverso lo sviluppo di prodotti di alta qualità, investimenti aggressivi in ricerca e sviluppo per ridurre le emissioni agricole e l’adozione delle migliori pratiche tecnologiche per migliorare la produttività;
Prodotti di consumo ecologici: sviluppo di prodotti di vendita al dettaglio premium con un impatto ambientale inferiore, catene di approvvigionamento trasparenti rese possibili dalla digitalizzazione e metriche di sostenibilità chiare per attirare un segmento crescente di clienti che apprezzano la sostenibilità;
La necessità di iniziare a trattare il turismo (come anche le altre industrie) con un atteggiamento sistemico è sempre più urgente. Parallelamente all’operatività e alla gestione dell’attività è necessario lavorare con l’introduzione di nuovi modelli di business, con l’utilizzo di discipline come il foresight, nuove figure professionali, nuovi strumenti, nuovi paradigmi.
Le sfide per le prossimi 10 estati saranno importanti, ma non impossibili. Servono sistemi, fare rete tra operatori, professionisti, pubbliche amministrazioni, destinazioni, governance.