Il primo caso giudiziario di eredità digitale: Justine Ellsworth
Il primo caso giudiziario di eredità digitale riguarda un giovane marine americano, Justine Ellsworth, ucciso in Iraq il 12 novembre 2004 da una bomba. Durante la permanenza in quella nazione gran parte dei contatti con i familiari avveniva tramite il servizio mail Yahoo! I genitori, intenzionati a recuperare tutta la corrispondenza elettronica con il figlio, chiesero al provider l’accesso all’account. Yahoo! respinse però la richiesta in quanto il contratto di servizio:
aveva una clausola “no right of survivorship and no trasferibility” in forza della quale l’account non poteva essere trasferito e ogni diritto ad esso ed ai suoi contenuti sarebbe cessato con la morte del contraente,
prevedeva un’altra clausola per la quale il provider non avrebbe potuto comunicare a terzi informazioni contenute nell’account senza un ordine giudiziale.
I genitori di Justine intentarono causa contro Yahoo! conclusasi con un ordine della Probate Court della contea di Oakland che ordinava la consegna su CD delle sole e-mail ricevute dal figlio. Non ottennero però le credenziali di accesso all’account proprio in forza della clausola di intrasferibilità.
Negli anni successivi ci sono stati altri contenziosi simili.
Uno è quello della modella Sahara Daftary precipitata in Inghilterra da un appartamento al 12° piano in circostanze sospette. I genitori chiesero a Facebook l’accesso all’account per cercare elementi utili per chiarire i fatti. Facebook rigettò la richiesta in quanto operazione contraria alla policy aziendale ed alle norme federali americane a tutela della riservatezza delle comunicazioni. Una corte californiana sposò la tesi difensiva di Facebook ma riconobbe comunque la possibilità di una divulgazione dei dati su base volontaria.
Un altro caso emblematico è quello della scrittrice iraniana Marsha Mehran, autrice del best seller “Caffè Babilonia” morta improvvisamente nel 2014. Il padre chiese a Google l’accesso al cloud per verificare se vi fossero altre opere inedite. Dopo alcuni negoziati e l’avvio di un’azione giudiziaria, Google consegnò al padre un CD con i documenti archiviati nel cloud.
Un terzo caso riguarda una ragazza tedesca morta, probabilmente suicida, nella metropolitana di Berlino. I genitori chiesero di accedere al profilo Facebook per escludere ogni dubbio sul suicidio. Il social network negò l’accesso facendo leva sia sulla policy aziendale e sulle condizioni generali di contratto che vietavano la trasmissione dell’account agli eredi, sia sulla legge tedesca e la normativa europea GDPR a tutela della confidenzialità delle informazioni.
Alla fine di un lungo e travagliato iter giudiziario la Suprema Corte tedesca ha affermato che:
i rapporti giuridici relativi ai beni immateriali (ad es. un account social) sono patrimonio del defunto e possono essere trasmessi con l’eredità,
le condizioni sottoscritte digitalmente dall’utente sono caratterizzate da una asimmetria contrattuale che pregiudica i diritti dell’utente e degli eredi;
la divulgazione agli eredi delle comunicazioni Facebook non è in contrasto né con la legge tedesca in materia di riservatezza delle telecomunicazioni né con il GDPR. Gli eredi non sono “terze parti” nei confronti dei quali sussisterebbe un divieto di divulgazione ma subentrano nella stessa posizione del defunto e quindi diventano i nuovi titolari dell’account.
Di recente anche in Italia si sono presentati casi analoghi. I tribunali di Milano (ordinanza del 10/2/2021), di Bologna (ordinanza del 25/11/2021) e di Roma (ordinanza 10/2/2022) hanno ordinato al noto gruppo Apple di fornire agli eredi (nei casi specifici genitori o coniuge superstite) l’assistenza necessaria per consentire l’accesso ai dati disponibili associati ad account di persone defunte. Da questo breve excursus si possono trarre alcune considerazioni:
i beni immateriali sono una parte rilevante del patrimonio personale ed è sempre più sentita l’esigenza di regole chiare per la successione di tali beni,
la “immortalità digitale” porta gli utenti a volere un controllo sui propri dati anche dopo la morte fisica,
le clausole contrattuali dei provider, quasi sempre esteri, che prevedono l’intrasmissibilità dei dati agli eredi sono spesso in contrasto con il diritto delle successioni e con la tutela della personalità.